C’è un filo sottile, ma decisivo, che lega ciò che indossiamo a ciò che scegliamo di appendere alle pareti. Per alcuni fashion designer, moda e arte non sono mondi separati, ma capitoli diversi dello stesso racconto. È come se la stessa attenzione riservata a un taglio, a una piega o a un tessuto si estendesse naturalmente anche a un’opera d’arte. In fondo, questi creativi tengono tanto a ciò che c’è sul loro muro quanto a ciò che finisce sul nostro corpo.

Miuccia Prada è l’esempio più emblematico di questo approccio, anche se lei stessa ha spesso evitato di definirsi una collezionista. Eppure, insieme a Patrizio Bertelli, ha costruito una raccolta imponente di arte moderna e contemporanea, che oggi trova casa in gran parte negli spazi della Fondazione Prada. Qui l’arte non è mai decorazione, ma pensiero: le luci concettuali di Dan Flavin, le opere di Louise Bourgeois, le provocazioni di Damien Hirst, l’ambiguità di Jeff Koons e la lucidità di John Baldessari convivono in un percorso che riflette la stessa intelligenza critica che attraversa il lavoro di Prada nella moda.

Fondazione Prada, foto: Delfino Sisto Legnani and Marco Cappelletti

Rick Owens ha trasformato il collezionismo in un gesto radicale, quasi architettonico. A Parigi ha scelto di vivere nell’ex sede del Partito Socialista Francese, a pochi passi dalla Senna, un edificio rimasto vuoto per vent’anni prima del suo arrivo. Acquistato nel 2004, è stato ristrutturato sotto la sua direzione, diventando un’estensione della sua estetica severa e monolitica. Nella sala riunioni, le sculture in marmo di Barry X Ball dialogano con un’urna antica di Georges Hoentschel, un affresco murale di Scarlett Rouge e arredi disegnati dallo stesso Owens. Tutto è ridotto all’essenziale, ma nulla è casuale.

Casa Rick Owens a Parigi, Foto: François Halard

Per Issey Miyake, arte e architettura sono da sempre parte integrante del processo creativo. La sua ricerca sulle pieghe, sulla forma e sul movimento trova un naturale parallelo nell’arte contemporanea. Non è un caso che nel 2007 abbia inaugurato un museo del design insieme a Tadao Ando, con l’intento di raccontare l’innovazione giapponese attraverso lo spazio. Anche il suo ufficio riflette questa visione: qui campeggia una grande opera circolare di Tim Hawkinson, realizzata con materiali di recupero, segno di un dialogo continuo tra sperimentazione e poesia. Lo stesso spirito anima le collaborazioni della linea Pleats Please, che ha coinvolto artisti come Cai Guo-Qiang, Yasumasa Morimura e Nobuyoshi Araki.

Museo 21_21, Foto: Masaya Yoshimura/NACASA&PARTNERS

Marc Jacobs si è avvicinato al collezionismo all’inizio degli anni Duemila, seguendo inizialmente un puro istinto estetico. Con il tempo, però, quello slancio si è trasformato in un interesse più consapevole e profondo. Superata una certa soggezione nei confronti del mondo dell’arte, ha iniziato a costruire una collezione ricca e sorprendente, capace di accostare linguaggi e periodi diversi. Tra le opere, nomi come Alberto Giacometti, Marcel Duchamp e Francis Picabia raccontano una curiosità mai statica, sempre in movimento, proprio come il suo percorso creativo.

La camera da letto di Jacobs, con opere di François-Xavier Lalanne, Jean-Michel Frank e altri. Foto: Sotheby’s

Anche Raf Simons vive il collezionismo come una forma di dialogo continuo. Ispirato fin dagli esordi dalla visione di Martin Margiela, il designer belga ha sviluppato una passione profonda per l’arte contemporanea, collezionando opere di Evan Holloway, Mike Kelley, Brian Calvin e Sterling Ruby. Con quest’ultimo il rapporto è diventato particolarmente stretto, al punto che le superfici grezze e segnate delle sue opere spray hanno influenzato direttamente le stampe della prima collezione couture di Simons per Dior.

In tutti questi casi, l’arte non è un semplice sfondo né un esercizio di stile. È un linguaggio parallelo, un luogo di confronto e di ispirazione costante. Un modo per abitare lo spazio — fisico e mentale — con la stessa intenzione con cui si costruisce un abito.


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